I maltrattamenti e gli abusi che il bambino subisce all’interno delle relazioni di attaccamento possono invece produrre conseguenze gravissime sullo sviluppo psicologico. Simili esperienze, oltre ad avere importanti ricadute negative sul piano neurobiologico (Schore, 2003b), minano alla base la fiducia dell’individuo verso l’esistenza. Proprio in questo contesto è possibile collocare sul piano teorico l’autodistruttività, la fragilità psichica e talvolta anche fisica osservabile in diverse condizioni psicopatologiche, l’istinto di morte del bambino male accolto di cui parlava Ferenczi (1929), cioé nel tragico strutturarsi di rappresentazioni procedurali del Sé come indegno e privo di valore, e dell’altro come figura ostile e distruttiva. Tali rappresentazioni si collocano in posizione diametralmente opposta a quelle derivanti dalle relazioni sicure, e sono in grado di generare la convinzione patogena (che spesso rimane a livello implicito, ma che in alcuni casi riesce a raggiungere il piano della consapevolezza) che non è affatto un bene essere vivi, poiché l’esistenza è dolorosa, traumatica, insostenibile. La locuzione “trauma evolutivo” può risultare quindi adeguata a definire la condizione di profonda sofferenza psichica che ha origine nell’infanzia all’interno di contesti di sviluppo abusanti o trascuranti. La condizione di trauma evolutivo si riflette transnosograficamente in una ridotta capacità di identificare, rappresentare e modulare gli stati corporei, mentali, affettivi e comportamentali evocati dalle esperienze esterne e dai vissuti interni; le sue conseguenze in adolescenza e in età adulta possono essere particolarmente gravi, manifestandosi frequentemente sotto forma di disturbi psichiatrici (spesso in comorbidità tra di loro), di una profonda disregolazione emotiva, di relazioni interpersonali particolarmente disfunzionali e di condotte inappropriate o problematiche.

Trauma evolutivo: origini e conseguenze della trascuratezza e dell’abuso nell’infanzia

SCHIMMENTI, ADRIANO
2013-01-01

Abstract

I maltrattamenti e gli abusi che il bambino subisce all’interno delle relazioni di attaccamento possono invece produrre conseguenze gravissime sullo sviluppo psicologico. Simili esperienze, oltre ad avere importanti ricadute negative sul piano neurobiologico (Schore, 2003b), minano alla base la fiducia dell’individuo verso l’esistenza. Proprio in questo contesto è possibile collocare sul piano teorico l’autodistruttività, la fragilità psichica e talvolta anche fisica osservabile in diverse condizioni psicopatologiche, l’istinto di morte del bambino male accolto di cui parlava Ferenczi (1929), cioé nel tragico strutturarsi di rappresentazioni procedurali del Sé come indegno e privo di valore, e dell’altro come figura ostile e distruttiva. Tali rappresentazioni si collocano in posizione diametralmente opposta a quelle derivanti dalle relazioni sicure, e sono in grado di generare la convinzione patogena (che spesso rimane a livello implicito, ma che in alcuni casi riesce a raggiungere il piano della consapevolezza) che non è affatto un bene essere vivi, poiché l’esistenza è dolorosa, traumatica, insostenibile. La locuzione “trauma evolutivo” può risultare quindi adeguata a definire la condizione di profonda sofferenza psichica che ha origine nell’infanzia all’interno di contesti di sviluppo abusanti o trascuranti. La condizione di trauma evolutivo si riflette transnosograficamente in una ridotta capacità di identificare, rappresentare e modulare gli stati corporei, mentali, affettivi e comportamentali evocati dalle esperienze esterne e dai vissuti interni; le sue conseguenze in adolescenza e in età adulta possono essere particolarmente gravi, manifestandosi frequentemente sotto forma di disturbi psichiatrici (spesso in comorbidità tra di loro), di una profonda disregolazione emotiva, di relazioni interpersonali particolarmente disfunzionali e di condotte inappropriate o problematiche.
2013
9788834016404
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