Il dialogo sempre attuale, tra rovina e istanze della contemporaneità, ha caratterizzato nel tempo, il confronto che gli architetti hanno intrecciato con la Storia e con l’esperienza dell’abitare. Esperienze di scavo all’interno dei centri abitati, sono conosciute fin dal XIX secolo e, se vogliamo, anche in epoca anteriore, ma è solo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, in conseguenza alla diffusione del metodo stratigrafico con i suoi approfondimenti teorici, che presso la comunità degli archeologi iniziò a diffondersi uno specifico interesse per questo genere di attività (Manacorda, 2004). In Inghilterra, noti archeologi come Martin Carver, cominciarono a sperimentare nei cantieri la prassi di attuare scavi stratigrafici a minore profondità ma in più punti del contesto circostante. Ciò significò che ben presto ‘il contesto’ non fu più considerato un dato collaterale all’indagine ma, riconoscendo nella cosiddetta antropizzazione del luogo, un complesso fatto urbano che riconduce a unità descrivibile tutti i singoli aspetti che concorrono a individuarlo, ne ravvisarono un elemento essenziale per le loro indagini e per la relativa tutela del bene archeologico. Più recentemente, a partire da tali esperienze e da tali presupposti, il dibattito intrapreso da architetti e archeologi, si è concentrato sempre di più sui metodi e sugli strumenti finalizzati a favorire l’integrazione delle aree archeologiche nel tessuto urbano. L’obiettivo generale del nostro contributo sarà, quindi, quello di dimostrare come, all’interno di una problematica tanto vasta e complessa vi siano approcci al progetto ricorrenti che, in modi diversi e complementari, affrontano sul piano teorico e operativo il problema dei nuovi assetti della città contemporanea.

Fra strati, trame e percorsi. Una nuova modernità

Marzullo Calogero
2019-01-01

Abstract

Il dialogo sempre attuale, tra rovina e istanze della contemporaneità, ha caratterizzato nel tempo, il confronto che gli architetti hanno intrecciato con la Storia e con l’esperienza dell’abitare. Esperienze di scavo all’interno dei centri abitati, sono conosciute fin dal XIX secolo e, se vogliamo, anche in epoca anteriore, ma è solo tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, in conseguenza alla diffusione del metodo stratigrafico con i suoi approfondimenti teorici, che presso la comunità degli archeologi iniziò a diffondersi uno specifico interesse per questo genere di attività (Manacorda, 2004). In Inghilterra, noti archeologi come Martin Carver, cominciarono a sperimentare nei cantieri la prassi di attuare scavi stratigrafici a minore profondità ma in più punti del contesto circostante. Ciò significò che ben presto ‘il contesto’ non fu più considerato un dato collaterale all’indagine ma, riconoscendo nella cosiddetta antropizzazione del luogo, un complesso fatto urbano che riconduce a unità descrivibile tutti i singoli aspetti che concorrono a individuarlo, ne ravvisarono un elemento essenziale per le loro indagini e per la relativa tutela del bene archeologico. Più recentemente, a partire da tali esperienze e da tali presupposti, il dibattito intrapreso da architetti e archeologi, si è concentrato sempre di più sui metodi e sugli strumenti finalizzati a favorire l’integrazione delle aree archeologiche nel tessuto urbano. L’obiettivo generale del nostro contributo sarà, quindi, quello di dimostrare come, all’interno di una problematica tanto vasta e complessa vi siano approcci al progetto ricorrenti che, in modi diversi e complementari, affrontano sul piano teorico e operativo il problema dei nuovi assetti della città contemporanea.
2019
978-88-909054-9-0
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