All’alba del 28 dicembre del 1908 una violenta scossa tellurica in soli trenta secondi «squassò la zona dello Stretto e distrusse completamente Messina». Alla violenza del moto sismico (decimo grado della scala Mercalli) si aggiunse quella del maremoto che circa dieci minuti dopo la scossa riversò diverse ondate sulla città: «L’immenso torrente d’acqua venne dallo Stretto, precisamente da sud-est, e superando la falce – che non riuscì assolutamente a rompere la violenza delle acque – si riversò sulla città, raggiungendo un’altezza di circa 1,5 m». Tutto ciò avvenne «in un’ora in cui non era molto facile trovare scampo» e in un luogo ove la gente viveva ammassata in costruzioni che «non poggiavano su solide basi». Non stupisca, quindi, il numero di quanti finirono col soccombere a quella forza che con tanta spietata ostilità la natura aveva improvvisamente scatenato. La stima approssimativa fu di sessantamila vittime. Questa cifra sarebbe cresciuta vertiginosamente se non fosse stato per quella «solidarietà attiva e fattiva» che strinse «tutti i popoli intorno agli italiani» e ne fece divampare «la grande fiamma dell’unità e della concordia». In molti, infatti, accorsero sui luoghi del disastro e tutti si rimboccarono le maniche, ivi compresi i sovrani d’Italia: la regina Elena assisteva «i feriti come una semplice infermiera» e Vittorio Emanuele III lavorò per giornate intere come un semplice comandante militare, senza riposarsi, riuscendo a essere presente ovunque e sempre in tempo.
Storia di una fratellanza culturale sorta dalle macerie del terremoto di Messina
Angelini A.
;
2009-01-01
Abstract
All’alba del 28 dicembre del 1908 una violenta scossa tellurica in soli trenta secondi «squassò la zona dello Stretto e distrusse completamente Messina». Alla violenza del moto sismico (decimo grado della scala Mercalli) si aggiunse quella del maremoto che circa dieci minuti dopo la scossa riversò diverse ondate sulla città: «L’immenso torrente d’acqua venne dallo Stretto, precisamente da sud-est, e superando la falce – che non riuscì assolutamente a rompere la violenza delle acque – si riversò sulla città, raggiungendo un’altezza di circa 1,5 m». Tutto ciò avvenne «in un’ora in cui non era molto facile trovare scampo» e in un luogo ove la gente viveva ammassata in costruzioni che «non poggiavano su solide basi». Non stupisca, quindi, il numero di quanti finirono col soccombere a quella forza che con tanta spietata ostilità la natura aveva improvvisamente scatenato. La stima approssimativa fu di sessantamila vittime. Questa cifra sarebbe cresciuta vertiginosamente se non fosse stato per quella «solidarietà attiva e fattiva» che strinse «tutti i popoli intorno agli italiani» e ne fece divampare «la grande fiamma dell’unità e della concordia». In molti, infatti, accorsero sui luoghi del disastro e tutti si rimboccarono le maniche, ivi compresi i sovrani d’Italia: la regina Elena assisteva «i feriti come una semplice infermiera» e Vittorio Emanuele III lavorò per giornate intere come un semplice comandante militare, senza riposarsi, riuscendo a essere presente ovunque e sempre in tempo.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.