Sono trascorsi duecento dieci anni da quel disastro che oggi ci appare lontano, ignorato dai più, soprattutto da chi, con meraviglia, getta lo sguardo sul manto prezioso che riveste le pareti, ammira i decori delle fasce intrecciate a losanga tra le lastre di marmo alle pareti delle navate laterali, gode delle pitture sulle travi e sulle incavallature che sostengono il tetto, inconsapevoli che vasti lacerti di quelle tessere di pasta vitrea e di pietre rare, quello stesso rivestimento marmoreo delle navate, quegli intrecci di losanghe e la gran parte del tetto sono opera dei restauratori del XIX secolo, artisti che si trovarono a dover porre rimedio a quei disastrosi guasti orfani di perdute abilità, costretti a reinventare modalità e tecniche desuete, ricomponendo capriate e travi, rammendando le tessere del vecchio e del nuovo testamento, completando ciò che non era mai stato portato a termine dagli avi con un lavorio minuzioso durato cent'anni, un lavorio che ha consolidato l'immagine che noi tutti oggi conosciamo del Duomo di Guglielmo II, un capolavoro di coerenza stilistica che, in realtà, è frutto di quella sapiente opera di "ri-costruzione" che nel volume si racconta. Grazie a ciò che si può leggere nei documenti trascritti da Cristina Sbacchi, nelle apoche, nelle relazioni, nelle lettere intercorse tra la deputazione e gli architetti incaricati di provvedere ai restauri, siamo oggi in grado di stabilire esattamente quanta parte di quei mosaici fu necessario riparare, ripristinare, completare o addirittura sostituire, quali furono le maestranze che operarono, quali le modalità di esecuzione e i diversi approcci nel ripristino delle parti da integrare.
Patrimonio dell'Umanità
Angelini Aurelio
2022-01-01
Abstract
Sono trascorsi duecento dieci anni da quel disastro che oggi ci appare lontano, ignorato dai più, soprattutto da chi, con meraviglia, getta lo sguardo sul manto prezioso che riveste le pareti, ammira i decori delle fasce intrecciate a losanga tra le lastre di marmo alle pareti delle navate laterali, gode delle pitture sulle travi e sulle incavallature che sostengono il tetto, inconsapevoli che vasti lacerti di quelle tessere di pasta vitrea e di pietre rare, quello stesso rivestimento marmoreo delle navate, quegli intrecci di losanghe e la gran parte del tetto sono opera dei restauratori del XIX secolo, artisti che si trovarono a dover porre rimedio a quei disastrosi guasti orfani di perdute abilità, costretti a reinventare modalità e tecniche desuete, ricomponendo capriate e travi, rammendando le tessere del vecchio e del nuovo testamento, completando ciò che non era mai stato portato a termine dagli avi con un lavorio minuzioso durato cent'anni, un lavorio che ha consolidato l'immagine che noi tutti oggi conosciamo del Duomo di Guglielmo II, un capolavoro di coerenza stilistica che, in realtà, è frutto di quella sapiente opera di "ri-costruzione" che nel volume si racconta. Grazie a ciò che si può leggere nei documenti trascritti da Cristina Sbacchi, nelle apoche, nelle relazioni, nelle lettere intercorse tra la deputazione e gli architetti incaricati di provvedere ai restauri, siamo oggi in grado di stabilire esattamente quanta parte di quei mosaici fu necessario riparare, ripristinare, completare o addirittura sostituire, quali furono le maestranze che operarono, quali le modalità di esecuzione e i diversi approcci nel ripristino delle parti da integrare.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.