Nell’epoca dei grandi cambiamenti tecnologici, delle sfide scientifiche ed ambientali nonché della società della information and comunication technologies, oltre un miliardo di persone al mondo vive ancora al di sotto della c.d. “soglia di povertà”. In contrapposizione a questo mondo le moderne società occidentali si caratterizzano per il livello di benessere raggiunto e per le ottime condizioni di vita. La convinzione che questa disparità sia di fatto un’ingiustizia, così come la consapevolezza che, per rendere il mondo più giusto e sicuro, ci debba essere una più equa ripartizione della risorse per garantire a tutti le stesse opportunità, sono alla base della nascita e della crescita delle politiche di “cooperazione allo sviluppo” dalla fine della seconda guerra mondiale. La pubblicazione intende rappresentare il quadro complessivo delle politiche di cooperazione allo sviluppo a partire dagli accordi internazionali sino alle micro attività di aiuto e sostegno promosse e sostenute dalla Organizzazioni non governativa. In questo quadro la politica di cooperazione allo sviluppo (PCS) rappresenta l'insieme delle politiche attuate dai Paesi industrializzati o dalle organizzazioni internazionali al fine di creare le condizioni necessarie per lo sviluppo economico e sociale, duraturo e sostenibile, dei PVS. La PCS è ormai parte integrante della politica estera degli Stati più industrializzati, grazie anche agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, sottoscritti dalle Nazioni Unite nel settembre 2000. Infatti, tra questi vi è la finalità di incentivare un'alleanza globale per lo sviluppo, mediante azioni che favoriscano la crescita della cooperazione allo sviluppo tra Nord e Sud del mondo. Concretamente gli obiettivi fondamentali della cooperazione passano attraverso la pace, la solidarietà, i diritti delle donne, dei minori, del lavoro e la protezione dell'ambiente. Sono molti i soggetti - istituzionali e non - che oggi svolgono un ruolo nell'ambito della cooperazione. Oltre ai Governi dei Paesi sviluppati e alle istituzioni internazionali, che da diversi anni attuano politiche di cooperazione, vi sarebbero, secondo le stime della Banca Mondiale, circa trentamila Organizzazioni non governative (ONG) al lavoro nei Paesi in via di sviluppo (PVS). Questo dato tuttavia non deve ingannare: un'analisi più approfondita, infatti, mostra alcune vistose crepe. Il mondo della cooperazione allo sviluppo, in effetti, sta attraversando una crisi profonda in quanto non risulta più in grado di mettere in pratica il suo mandato. Tra le molteplici cause della scarsa efficacia delle politiche di cooperazione si possono annoverare la carente sensibilizzazione dell'opinione pubblica e dei governi dei Paesi ricchi, le pratiche tradizionali di assistenzialismo e di neo-colonialismo che spesso nel passato hanno mascherato i migliori auspici di sostegno allo sviluppo, l'assenza di politiche coordinate, coerenti ed efficaci e di un sistema di monitoraggio e valutazione dell'efficienza degli aiuti. Senza contare la responsabilità dei Paesi donatori che, invece dello 0,7% (in media) del Prodotto interno lordo (PIL) promesso, erogano lo 0,33% del PIL in aiuti pubblici allo sviluppo. È infine del tutto evidente che una conoscenza limitata degli obiettivi, degli attori e delle proporzioni della cooperazione (ma anche delle problematiche dello sviluppo) da parte della società civile, si traduce inevitabilmente in un deficit nel controllo dell'operato di chi si impegna per favorire lo sviluppo dei Paesi poveri. Una maggiore consapevolezza può garantire un controllo migliore dell'azione pubblica e, quindi, una migliore politica di cooperazione. Secondo Hirschman, lo sviluppo è di per sé un processo squilibrato, nel quale operano tensioni, stimoli, contraddizioni settoriali e fattori endogeni, cioè peculiari di una ed una sola realtà. Anche le politiche di cooperazione e i progetti di sviluppo sono coinvolti in questi meccanismi, e pertanto in essi giocano un ruolo centrale i fattori di incertezza, i vincoli ed i fattori collaterali, nel cui insieme si configurano anche certi gradi di libertà per la gestione del progetto. Il seguente elaborato scientifico e di ricerca, che riguarda soltanto la realtà europea ed italiana e che chiaramente non è esaustiva, si limita a presentare la situazione attuale e quale le nuove sfide future lasciando aperto il confronto sul nuovo multilateralismo che i recenti sviluppi economici e finanziari nonché politici e culturali richiede a vario titolo. La breve rassegna svolta dalla presente pubblicazione delle diverse forme e dei diversi modi di cooperare evidenzia la mancanza di un’idea precisa ed univoca di cosa si intenda per sviluppo. Le diverse iniziative messe in campo dai vari attori della cooperazione internazionale allo sviluppo mostrano una grande divergenza di approccio alla problematica dello sviluppo. Inoltre, gli obiettivi dichiarati e i risultati attesi spesso non coincidono con gli effettivi risultati conseguiti. La ricerca evidenzia come il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati da un progetto di sviluppo non costituisce solo il fallimento del progetto stesso, ma costituisce soprattutto un danno arrecato alle persone che si intendeva aiutare con l’intervento di cooperazione. I limiti e le inefficienze del sistema della cooperazione allo sviluppo sono evidenziati con spirito critico. La questione di fondo, però, è molto più delicata e consiste nella volontà di riconoscere che determinate azioni possono condurre ad uno sviluppo “buono” o “cattivo”. Bill Gates è convinto che esportare computers portatili “a manovella” in Africa porti lo sviluppo. Allo stesso modo, ogni attore impegnato nella cooperazione con i PVS, dichiara che i suoi progetti favoriscono lo sviluppo umano ed aiutano a ridurre la povertà. Ma se tutti agiscono per lo sviluppo umano, allora perché gli indicatori dell’ISU dimostrano che la povertà aumenta, le malattie endemiche non accennano a placarsi, e la violazione dei diritti è ancora così frequente E’ come se un presidente del governo dichiarasse che l’economia del paese è in crescita, mentre gli indicatori statistici dimostrassero il contrario. C’è, quindi, qualche problema di fondo nel campo della cooperazione allo sviluppo umano e il mancato raggiungimento degli obiettivi non può essere imputato a fattori congiunturali, perché il fenomeno della povertà non ha mai conosciuto trend di riduzione. Evidentemente, c’è qualche problema strutturale nelle strategie finora adoperate per confrontarsi al fenomeno della povertà. L’individuazione di questi problemi strutturali da parte della presente pubblicazione consente di definire lo sviluppo “cattivo”, mentre, l’individuazione degli elementi alternativi possibili (cioè, già dimostratisi efficaci nei casi in cui sono stati adottati) consente di definire lo sviluppo “buono”. Dalle considerazioni rappresentate emerge quindi la proposta e la necessità di un nuovo sistema di cooperazione allo sviluppo fondato sulla partnership e su un nuovo multilateralismo. Una nuova alleanza strategica tra organismi internazionali, stati, enti locali, ONG, associazioni e imprese, sia del Nord sia del Sud del Mondo. Un’alleanza che tende a superare le forme bilaterali della cooperazione internazionale, per rifondare nuovi rapporti tra i diversi attori internazionali, intorno ai temi più attuali riguardanti la dimensione globale (come, ad esempio, la riforma dell’ONU).

Le politiche di cooperazione allo sviluppo in Italia e in Europa

SABATINO, MICHELE
2008-01-01

Abstract

Nell’epoca dei grandi cambiamenti tecnologici, delle sfide scientifiche ed ambientali nonché della società della information and comunication technologies, oltre un miliardo di persone al mondo vive ancora al di sotto della c.d. “soglia di povertà”. In contrapposizione a questo mondo le moderne società occidentali si caratterizzano per il livello di benessere raggiunto e per le ottime condizioni di vita. La convinzione che questa disparità sia di fatto un’ingiustizia, così come la consapevolezza che, per rendere il mondo più giusto e sicuro, ci debba essere una più equa ripartizione della risorse per garantire a tutti le stesse opportunità, sono alla base della nascita e della crescita delle politiche di “cooperazione allo sviluppo” dalla fine della seconda guerra mondiale. La pubblicazione intende rappresentare il quadro complessivo delle politiche di cooperazione allo sviluppo a partire dagli accordi internazionali sino alle micro attività di aiuto e sostegno promosse e sostenute dalla Organizzazioni non governativa. In questo quadro la politica di cooperazione allo sviluppo (PCS) rappresenta l'insieme delle politiche attuate dai Paesi industrializzati o dalle organizzazioni internazionali al fine di creare le condizioni necessarie per lo sviluppo economico e sociale, duraturo e sostenibile, dei PVS. La PCS è ormai parte integrante della politica estera degli Stati più industrializzati, grazie anche agli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, sottoscritti dalle Nazioni Unite nel settembre 2000. Infatti, tra questi vi è la finalità di incentivare un'alleanza globale per lo sviluppo, mediante azioni che favoriscano la crescita della cooperazione allo sviluppo tra Nord e Sud del mondo. Concretamente gli obiettivi fondamentali della cooperazione passano attraverso la pace, la solidarietà, i diritti delle donne, dei minori, del lavoro e la protezione dell'ambiente. Sono molti i soggetti - istituzionali e non - che oggi svolgono un ruolo nell'ambito della cooperazione. Oltre ai Governi dei Paesi sviluppati e alle istituzioni internazionali, che da diversi anni attuano politiche di cooperazione, vi sarebbero, secondo le stime della Banca Mondiale, circa trentamila Organizzazioni non governative (ONG) al lavoro nei Paesi in via di sviluppo (PVS). Questo dato tuttavia non deve ingannare: un'analisi più approfondita, infatti, mostra alcune vistose crepe. Il mondo della cooperazione allo sviluppo, in effetti, sta attraversando una crisi profonda in quanto non risulta più in grado di mettere in pratica il suo mandato. Tra le molteplici cause della scarsa efficacia delle politiche di cooperazione si possono annoverare la carente sensibilizzazione dell'opinione pubblica e dei governi dei Paesi ricchi, le pratiche tradizionali di assistenzialismo e di neo-colonialismo che spesso nel passato hanno mascherato i migliori auspici di sostegno allo sviluppo, l'assenza di politiche coordinate, coerenti ed efficaci e di un sistema di monitoraggio e valutazione dell'efficienza degli aiuti. Senza contare la responsabilità dei Paesi donatori che, invece dello 0,7% (in media) del Prodotto interno lordo (PIL) promesso, erogano lo 0,33% del PIL in aiuti pubblici allo sviluppo. È infine del tutto evidente che una conoscenza limitata degli obiettivi, degli attori e delle proporzioni della cooperazione (ma anche delle problematiche dello sviluppo) da parte della società civile, si traduce inevitabilmente in un deficit nel controllo dell'operato di chi si impegna per favorire lo sviluppo dei Paesi poveri. Una maggiore consapevolezza può garantire un controllo migliore dell'azione pubblica e, quindi, una migliore politica di cooperazione. Secondo Hirschman, lo sviluppo è di per sé un processo squilibrato, nel quale operano tensioni, stimoli, contraddizioni settoriali e fattori endogeni, cioè peculiari di una ed una sola realtà. Anche le politiche di cooperazione e i progetti di sviluppo sono coinvolti in questi meccanismi, e pertanto in essi giocano un ruolo centrale i fattori di incertezza, i vincoli ed i fattori collaterali, nel cui insieme si configurano anche certi gradi di libertà per la gestione del progetto. Il seguente elaborato scientifico e di ricerca, che riguarda soltanto la realtà europea ed italiana e che chiaramente non è esaustiva, si limita a presentare la situazione attuale e quale le nuove sfide future lasciando aperto il confronto sul nuovo multilateralismo che i recenti sviluppi economici e finanziari nonché politici e culturali richiede a vario titolo. La breve rassegna svolta dalla presente pubblicazione delle diverse forme e dei diversi modi di cooperare evidenzia la mancanza di un’idea precisa ed univoca di cosa si intenda per sviluppo. Le diverse iniziative messe in campo dai vari attori della cooperazione internazionale allo sviluppo mostrano una grande divergenza di approccio alla problematica dello sviluppo. Inoltre, gli obiettivi dichiarati e i risultati attesi spesso non coincidono con gli effettivi risultati conseguiti. La ricerca evidenzia come il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati da un progetto di sviluppo non costituisce solo il fallimento del progetto stesso, ma costituisce soprattutto un danno arrecato alle persone che si intendeva aiutare con l’intervento di cooperazione. I limiti e le inefficienze del sistema della cooperazione allo sviluppo sono evidenziati con spirito critico. La questione di fondo, però, è molto più delicata e consiste nella volontà di riconoscere che determinate azioni possono condurre ad uno sviluppo “buono” o “cattivo”. Bill Gates è convinto che esportare computers portatili “a manovella” in Africa porti lo sviluppo. Allo stesso modo, ogni attore impegnato nella cooperazione con i PVS, dichiara che i suoi progetti favoriscono lo sviluppo umano ed aiutano a ridurre la povertà. Ma se tutti agiscono per lo sviluppo umano, allora perché gli indicatori dell’ISU dimostrano che la povertà aumenta, le malattie endemiche non accennano a placarsi, e la violazione dei diritti è ancora così frequente E’ come se un presidente del governo dichiarasse che l’economia del paese è in crescita, mentre gli indicatori statistici dimostrassero il contrario. C’è, quindi, qualche problema di fondo nel campo della cooperazione allo sviluppo umano e il mancato raggiungimento degli obiettivi non può essere imputato a fattori congiunturali, perché il fenomeno della povertà non ha mai conosciuto trend di riduzione. Evidentemente, c’è qualche problema strutturale nelle strategie finora adoperate per confrontarsi al fenomeno della povertà. L’individuazione di questi problemi strutturali da parte della presente pubblicazione consente di definire lo sviluppo “cattivo”, mentre, l’individuazione degli elementi alternativi possibili (cioè, già dimostratisi efficaci nei casi in cui sono stati adottati) consente di definire lo sviluppo “buono”. Dalle considerazioni rappresentate emerge quindi la proposta e la necessità di un nuovo sistema di cooperazione allo sviluppo fondato sulla partnership e su un nuovo multilateralismo. Una nuova alleanza strategica tra organismi internazionali, stati, enti locali, ONG, associazioni e imprese, sia del Nord sia del Sud del Mondo. Un’alleanza che tende a superare le forme bilaterali della cooperazione internazionale, per rifondare nuovi rapporti tra i diversi attori internazionali, intorno ai temi più attuali riguardanti la dimensione globale (come, ad esempio, la riforma dell’ONU).
2008
9788895693231
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11387/10593
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