In un mondo in cui contraddizione e aporeticità sono diventati modelli guida, l’educazione sembra assumere un ruolo sempre più marginale. Infatti la complessità della contemporaneità, da un lato, ha abbandonato i tradizionali sistemi disciplinari per il controllo e, dall’altro, si serve di un eccesso apparente di libertà per attivare dispositivi in grado di monitorare capillarmente anche le più insignificanti azioni dei singoli e della collettività. Allora, in termini foucaultiani, la pedagogia della resistenza può diventare l’ultimo argine per difendersi dall’invasività del panopticon digitale del mondo globale e dal suo pensiero unico. In una prospettiva democratica dell’educare, resistere appare come l’azione politico-culturale più adeguata per smascherare e per disinnescare la violenza del potere. Come Paulo Freire e Aldo Capitini ci hanno indicato, una resistenza nonviolenta e militante può trasformarsi e farsi buona pratica pedagogica per il cambiamento e per una presa di coscienza anche per i soggetti più fragili e differenti. Inoltre, in democrazia, educare a resistere è garanzia anche per scongiurare involuzioni autoritarie e liberticide in politica, e presidio vigile per costruire un approccio alla storia culturalmente attento e critico. Oggi, infatti, si tende a vivere in una sorta di eterno presente, si considera il divenire della storia qualcosa di inesorabile e/o si elaborano pericolose sacralizzazioni del passato, restringendo così i margini per la critica interpretazione. Allora, pedagogia della resistenza e approccio non neutrale e militante alla cultura, alla storia e soprattutto alla politica si presentano come strategie indispensabili per il decondizionamento e per una effettiva crescita nella consapevolezza per tutti gli studenti di ogni ordine e grado, dalla scuola per l’infanzia all’università.

Decostruire la dipendenza in democrazia educando alla resistenza

Stefano Salmeri
2023-01-01

Abstract

In un mondo in cui contraddizione e aporeticità sono diventati modelli guida, l’educazione sembra assumere un ruolo sempre più marginale. Infatti la complessità della contemporaneità, da un lato, ha abbandonato i tradizionali sistemi disciplinari per il controllo e, dall’altro, si serve di un eccesso apparente di libertà per attivare dispositivi in grado di monitorare capillarmente anche le più insignificanti azioni dei singoli e della collettività. Allora, in termini foucaultiani, la pedagogia della resistenza può diventare l’ultimo argine per difendersi dall’invasività del panopticon digitale del mondo globale e dal suo pensiero unico. In una prospettiva democratica dell’educare, resistere appare come l’azione politico-culturale più adeguata per smascherare e per disinnescare la violenza del potere. Come Paulo Freire e Aldo Capitini ci hanno indicato, una resistenza nonviolenta e militante può trasformarsi e farsi buona pratica pedagogica per il cambiamento e per una presa di coscienza anche per i soggetti più fragili e differenti. Inoltre, in democrazia, educare a resistere è garanzia anche per scongiurare involuzioni autoritarie e liberticide in politica, e presidio vigile per costruire un approccio alla storia culturalmente attento e critico. Oggi, infatti, si tende a vivere in una sorta di eterno presente, si considera il divenire della storia qualcosa di inesorabile e/o si elaborano pericolose sacralizzazioni del passato, restringendo così i margini per la critica interpretazione. Allora, pedagogia della resistenza e approccio non neutrale e militante alla cultura, alla storia e soprattutto alla politica si presentano come strategie indispensabili per il decondizionamento e per una effettiva crescita nella consapevolezza per tutti gli studenti di ogni ordine e grado, dalla scuola per l’infanzia all’università.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11387/161505
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